Alessandro Fizzotti intervista Maurizio Ferraris, professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino, dove dirige il LabOnt (Laboratorio di ontologia).
Editorialista di “La Repubblica”, è inoltre direttore della “Rivista di Estetica”, condirettore di “Critique” e della “Revue francophone d’esthétique”. Ha scritto una cinquantina di libri tradotti in varie lingue. Oggi presenta il suo ultimo lavoro: “L’imbecillità è una cosa seria” edito da Il Mulino.
Il Libro
A lungo l’umanità si è considerata perfetta, attribuendo le proprie eventuali défaillances all’alienazione portata dalla tecnica o all’azione di entità arcane e malvage come il Capitale e l’Europa. Ma sarebbe bastato un esame di coscienza per capire che il problema era un altro: l’imbecillità, dentro e fuori di noi. L’imbecillità è una cosa seria, a cui sinora non si è dato che uno sguardo distratto, come fosse una cosa per pochi e, soprattutto, per altri. Non è così, e, appena ce ne accorgiamo, i conti tornano, nell’economia, nella società e nella storia. Parte da qui l’irresistibile riflessione del filosofo su questa imbarazzante caratteristica dell’umano. Ce n’è per chiunque: per i titani del pensiero, per i giganti indiscussi della letteratura, per i protagonisti della storia universale. L’umano, insomma, è essenzialmente (e non accidentalmente) un imbecille. Ed è di qui, solo di qui, dal sentirci tutti lambiti dalla grande ala dell’imbecillità, che ha origine il progresso, la lunga avanzata dell’umanità verso il bene – ossia, la sua fuga senza fine dall’imbecillità.