Assaggiando alcuni cibi come per esempio verdure o cioccolato, e comparando le nostre sensazioni con quelle dei nostri vicini, può capitare di scoprire che la loro sensibilità al gusto amaro sia diversa dalla nostra.
In passato il fenomeno è stato studiato facendo assaggiare alcune singole sostanze amare naturali (soprattutto polifenoli di origine vegetale) chiedendo agli assaggiatori di paragonarne l’intensità con una particolare sostanza chiamata PROP, usata convenzionalmente a dosi diverse per la valutazione della sensazione di amaro.
Ma che succede quando si utilizza un alimento ricco di polifenoli come il vino rosso ed anziché limitarsi alla descrizione soggettiva si valuta la sensazione di amaro a livello dei geni del gusto coinvolti?
Una prima risposta viene data dallo studio apparso su “Scientific Reports” coordinato da Alberto Bertelli, del dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano, e Roberto Barale, del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, e che ha coinvolto 4 Università ed altrettanti Centri di Ricerca in Italia, Repubblica Ceca e Germania.
Il prof. Bertelli al Fizz Show
Trecento volontari italiani ed altrettanti della Repubblica Ceca, dopo aver degustato un vino rosso, ne hanno fornito la descrizione soggettiva, ma sono anche stati sottoposti a genotipizzazione per i geni del gusto amaro/astringente e relative varianti funzionali (polimorfismi): è stato così possibile associare per esempio il polimorfismo TAS2R38 al gusto amaro ed il TAS2R16 alla sensazione astringente. I geni del gusto amaro e astringente sono presenti in tutti gli individui, ma lo studio ha evidenziato una diversa modalità di attivazione.
Tutto risolto? Non proprio: il polimorfismo relativo all’astringenza è significativo solo nel genere femminile suggerendo forse una preferenza nelle donne per i vini bianchi, mentre nei volontari italiani il polimorfismo relativo all’amaro non raggiunge la significatività, indicando forse l’effetto di diversa cultura e stile di vita.